Due ore.
Per cercare del caffè.
In un supermercato dove abbiamo i cartelli luminosi grandi quanto insegne autostradali.
«Signora… il caffè è sempre in corsia 4. Non è mai stato tolto. Se vuole, la accompagno io.»
Lei mi segue con l’aria di chi si aspetta di essere smentita e di trovare solo scaffali vuoti e desolazione.
Arriviamo in corsia 4. Mi fermo davanti a uno scaffale pieno, strapieno, ridondante di caffè. Capsule, macinato, in grani, orzo, decaffeinato, cialde, arabica, robusta, misto veneziano, gusto Napoli, persino quello con la vaniglia (che secondo me è un crimine, ma sorvoliamo).
Le faccio cenno con la mano:
«Ecco qua, signora. Il caffè. Tutto qua, come sempre.»
Lei mi guarda. Fa un giro su sé stessa, poi si gira verso di me, punta il dito:
«Eh certo, però se tutti i giorni lo spostate! Io vengo qua tutti i giorni, e ieri il caffè NON era qua. Era in fondo. Dall’altro lato!»
Trattengo tutto.
Trattengo lo spirito che mi esce dal corpo.
Trattengo la risata isterica.
«Signora… lavoro qui da quasi due anni. Il caffè è sempre stato in questa corsia. Sempre. Mai spostato nemmeno di uno scaffale.»
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