La scena madre, al reparto cucine.
(O di come il pane finto divenne secondo piatto.)
Mattinata tranquilla, per modo di dire. Tre appuntamenti di fila, un preventivo che non si chiude da settimane e il solito signore che si siede per “dare un’occhiata” e poi ti tiene bloccato mezz’ora per farsi spiegare la differenza tra laminato, PET e laccato lucido “per pura cultura personale”.
Sono con un cliente, finalmente uno serio, interessato e deciso. Abbiamo quasi finito il progetto della sua cucina e stiamo definendo i pensili. A un certo punto, mentre ragioniamo su profondità e altezze, mi alzo leggermente in piedi, indico con la mano un modello esposto a pochi metri, e dico:
— “Ecco, vede quel pensile lì? Mi piacerebbe inserirne uno simile anche qui.”
Lui gira la testa. Io continuo a guardarlo un secondo, poi noto che il suo sguardo resta fisso, ma non sul pensile. Ha un’espressione… strana. Perplessa. Un misto tra il confuso e lo schifato.
Mi volto per capire cosa sta guardando. Ed eccoli.
Una famigliola. Padre, madre e due bambini, età stimata: circa 10 e 6 anni. Tutti intenti a osservare la stessa composizione che ho appena indicato.
Tutto normale, se non fosse per un dettaglio fondamentale:
Il figlio più grande ha in mano una delle finte pagnotte in spugna dell’esposizione e… LA STA MORDENDO.
Ma non tipo gioco. No. Con gusto. Occhi socchiusi, masticazione lenta, soddisfatta. Sembra quasi stia apprezzando la crosta immaginaria.
Nel giro di due secondi, il fratello più piccolo decide che non vuole essere da meno. Raccatta un cono gelato finto — uno di quelli decorativi imbustati con tanto di fascetta — strappa la plastica, la getta a terra, e inizia a leccarlo come se fosse estate e avesse appena finito di giocare a palla.
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