Ore 20:10, chiudo la cassa, esco. Crollata. Ma con l’idea di tornare a casa e finalmente buttarmi sul divano con mio figlio (14 anni, fase “non parlo ma ti amo”), e magari una puntata di qualcosa di scemo su Netflix.

Prendo un’altra bici a noleggio. Appena la stacco dalla rastrelliera, sento urlare da lontano.
AL LADRO! FERMATELA! MI RUBA LA BICIIII!!!

Mi giro.
C’è un signore che viene verso di me, di corsa, braccia in alto.
Dietro di lui, come effetto domino, gente che si volta a guardare.
Un paio di clienti del negozio che mi riconoscono, con la faccia tra l’incredulo e il deluso.
Una signora mi piazza il carrello davanti alle ruote.
E un tipo — questo ancora lo ricordo bene — mi afferra il manubrio con la forza di chi pensa di compiere un gesto eroico.

Il mio cuore esplode.
L’adrenalina mi schizza nelle orecchie.
In meno di tre secondi mi sento in trappola, giudicata, circondata, trattata da ladra.

E lì succede qualcosa.

Una voce che non so da dove mi sia uscita, una roba tipo scarica elettrica, parte da dentro e mi sento urlare, con la forza di una madre stanca che ha superato ogni limite dell’educazione umana:

“MOLLA SUBITO IL MANUBRIO! È UNA BICI ELETTRICA A NOLEGGIO, RAZZA DI $£$%&$!”
(La parte censurata non è trascrivibile, ma vi assicuro che era folkloristica.)