Ancora più scocciata e arrogante sbuffa e inarca le sopracciglia, solleva le braccia in aria, poi le abbassa e le risolleva a mo’ di cavatappi, ritmando una lamentela che mi provoca un inizio di ulcera da stress.

“Ma allora dove la lego? Lo vede che è nuova? Bla bla bla… ladri… bla bla… rubate 5 bici…. Come faccio? Bla bla è di marca…” e così via finché non si accorge del mio indice puntato in direzione del tubo di metallo, parte della struttura che regge la tettoia per i carrelli dei clienti, esattamente e due metri da lei.

Alla vista del sicuro ancoraggio per la bicicletta, la cliente si illumina in volto e inizia di nuovo l’impresa titanica dell’incaprettatura: avvolge la catena al palo, la passa sotto la sella, tira, sfila, cade il lucchetto, impreca, si ammanetta ai carrelli, chiede aiuto ai Vu’ Cumprà che fingono di non vederla, lega il paraurti di una Panda al celeberrimo palo e la preziosa bicicletta allo Yorkshire di un bambina, e così via… Quasi subito vengo chiamato al microfono per un problema alla barriera casse e mi defilo in negozio portando con me il carrello.

Il pomeriggio mi allieta con la solita cliente vecchiarda, eccellenza nel savoir-faire, che mi sbraita dal fondo della corsia ordini secchi così come in un alpeggio il pastore metterebbe ordine fra le pecore, “EHI TU! VIENI UN PO’ QUA! EHI! NON SI CAPISCE NIENTE… CI FREGATE SEMPRE!”, finché, come vuole la prassi, la delicata damigella non concluda il richiamo alpestre con una serie di fischi… si si, proprio fischi!… ed io non risponda alla capraia con un ruggito mettendo bene in chiaro che con il fischio ci chiama i suoi cani o i suoi famigliari…