“Comunque me lo porti pure. Lo vedo io. Magari – e dico magari – la sede accetterà il cambio. Ma solo con un altro dello stesso grado, quindi sempre con qualche difetto estetico. Non verrà sostituito con uno migliore. È molto improbabile, glielo dico subito.”

Silenzio.

Poi la voce cambia tono. Sale di giri.

“No no no! Io ho ragione! E voi lo cambiate! Perché questa è una truffa bella e buona!”

E click. Butta giù.

Lo guardo, il telefono, come se mi avesse appena sputato addosso. E ripenso al dialogo di tre ore prima, al sorriso soddisfatto, al “ok perfetto” quando gli ho spiegato tutto con pazienza.

Poi mi alzo, mi preparo un caffè, e mi dico che domani tornerà, certo. Come tornano sempre. E dirà “non mi interessa, io lo voglio cambiare”. E io risponderò di nuovo con lo stesso tono, la stessa chiarezza, la stessa pazienza zen che ormai è l’unico superpotere che possiedo.